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PALERMO – Don Giuseppe Puglisi è il primo martire della Chiesa ucciso dalla mafia che rifiuta Dio, e per questo è beato. In ottantamila da tutta Italia esultano, al Foro Italico di Palermo, all’annuncio solenne dell’elevazione all’onore degli altari del parroco di Brancaccio assassinato dai killer di cosa nostra il 15 settembre 1993. E anche le Istituzioni rendono onore a quel prete semplice che, puntualizza il cardinale Paolo Romeo, è stato ucciso ‘in odium fidei’: in odio a quella fede in Cristo che è amore e che promuove l’uomo, all’opposto di quello che invece cosa nostra vuole. La Chiesa rende il massimo onore a questo testimone della fede in Cristo dei giorni d’oggi. E’ impressionante il colpo d’occhio offerto, davanti all’altare con le spalle al golfo di Palermo illuminato da un sole caldo affiancato da una gigantografia di un don Puglisi con il suo sorriso di sempre, dai 45 vescovi e dagli 800 sacerdoti che concelebrano il rito, cui fanno corona migliaia di fedeli. Molti di loro, ‘3P’, Padre Pino Puglisi, lo hanno conosciuto di persona: a scuola, in parrocchia, per le strade di Palermo dove lo si incontrava sovente.
Una folla composta e in preghiera, che applaude solo quando il cardinale Salvatore De Giorgi, delegato di Papa Francesco, legge la bolla di beatificazione, e quando l’ arcivescovo Romeo puntualizza che i mafiosi “rifiutano Dio”. Ma la folla batte le mani anche quando il presule cita altre tre vittime di cosa nostra: il giudice Rosario Livatino di cui è in corso una causa di beatificazione, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. “I mafiosi, che spesso pure si dicono e si mostrano credenti, muovono meccanismi di sopraffazione ed ingiustizia, di rancore, di odio, di violenza, di morte”, tuona Romeo, che va giù duro; “L’azione assassina dei mafiosi ne rivela la vera essenza. Essi rifiutano il Dio della vita e dell’amore”. A Brancaccio, ricorda il cardinale Romeo, Puglisi “trovò bambini e giovani quotidianamente esposti ad una ‘paternita” falsa e meschina: quella della mafia del quartiere, che rubava dignità ed dava morte in cambio di protezione e sostegno.
La sua azione mirò a rendere presente un altro padre, il ‘Padre Nostro’. Secondo lui di ‘nostro’ non può esserci ‘cosa’ che si impone a tutti attraverso un ‘padrino’ onnipresente. Di ‘nostro’ c’é solo Dio che ama tutti dentro e fuori la Chiesa”. Parole dure, quelle dell’arcivescovo, che all’offertorio abbraccia Gaetano, il fratello del beato che pure si lascia sfuggire “Pino lo avrei preferito vivo piuttosto che santo…”. Le Istituzioni sono presenti alla beatificazione del prete palermitano. In lui il presidente Napolitano e il Guardasigilli Cancellieri indicano “un esempio per tutti coloro che non intendono piegarsi alle prevaricazioni della criminalità mafiosa”. Il ministro dell’Interno Alfano riconosce nel beato il protagonista “di una rivoluzione culturale che rappresenta uno squarcio di luce nel buio della Brancaccio di allora. Ed il presidente del Senato Piero Grasso gli attribuisce già un miracolo: “la conversione, con il suo sorriso di due feroci killer che hanno offerto un contributo per l’accertamento di verità e giustizia anche recentemente, facendo riaprire indagini come quella sulla strage di via D’Amelio”. Il martirio di ‘3P’ ora è affidato agli altari. Come il motto che il sacerdote ripeteva come un mantra davanti alle difficoltà a Brancaccio: “Se ognuno fa qualche cosa, si può fare molto”.
(Fonte Ansa)