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La Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia parla chiaro: in Italia i celiaci sono in aumento. Le nuove diagnosi sono oltre 15.000, per un totale di 198.427 persone celiache, più donne che uomini e soprattutto all’interno della fascia 19-40 anni. Le Regioni italiane con più celiaci sono la Lombardia, il Lazio e la Campania.
Secondo il Ministero della Salute c’è però ancora molto sommerso. Sarebbero 400.000 i casi ancora non diagnosticati. La prevalenza della celiachia a livello mondiale, infatti, è stimata intorno all’1% della popolazione, mentre in Italia è registrata allo 0,33 per cento.
La diagnosi
L’incremento delle diagnosi è sicuramente dovuto anche al nuovo protocollo diagnostico entrato in vigore nel 2015, che prevede dosaggi sierologici (analisi del sangue) di specifici anticorpi e biopsia dell’intestino tenue con il prelievo di tessuto per determinare l’atrofia dei villi intestinali attraverso l’esame istologico. A Granada, nel 2016, dei ricercatori hanno sviluppato un test rapido e non invasivo per diagnosticare la celiachia nei bambini semplicemente attraverso la puntura di un dito.
La terapia sostenuta dal Servizio Sanitario Nazionale
Una volta diagnosticata la celiachia, il paziente ha diritto, attraverso il Servizio Sanitario Nazionale, all’erogazione gratuita di prodotti senza glutine fino a un tetto massimo di spesa. L’alimentazione è infatti l’unica terapia a disposizione di un celiaco.
I prodotti Gluten Free
Dal 20 luglio 2016 il pane, la pasta, i biscotti e tutti gli altri alimenti per celiaci devono riportare sull’etichetta la dicitura “senza glutine”, accompagnata dall’indicazione “specificamente formulati per celiaci (o per persone intolleranti al glutine)”, e devono essere inseriti nel Registro Nazionale dei prodotti senza glutine, consultabile sul sito del Ministero della Salute. Questa normativa permette di migliorare la definizione sul mercato dei cibi creati appositamente per chi non può assumere il glutine, che precedentemente erano etichettati come “dietetici” (e confondevano le idee ai consumatori).
Eliminare il glutine a volte non basta
Il danno alla mucosa intestinale persiste nel 20% dei bambini e nel 33% degli adulti: servono controlli più attenti
Seguire scrupolosamente una dieta gluten-free non è sempre sufficiente per risolvere i problemi intestinali causati dalla celiachia: una buona fetta dei pazienti continua infatti a presentare la mucosa intestinale danneggiata, nonostante la riduzione dei sintomi e il miglioramento delle analisi del sangue.
A lanciare l’allerta, sottolineando la necessità di esami e controlli più stringenti, è uno dei massimi esperti mondiali di celiachia, l’italiano Alessio Fasano, direttore della gastroenterologia pediatrica presso il MassGeneral Hospital for Children (MGHfC).
Esaminando le cartelle cliniche di oltre 100 bambini celiaci, Fasano e i suoi collaboratori hanno scoperto che un piccolo paziente su cinque continua ad avere la mucosa intestinale danneggiata anche se segue attentamente una dieta gluten-free. Questo dato sorprendente, pubblicato su Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition in collaborazione con il Boston’s Children Hospital, è comunque in linea con altri studi precedenti che dimostrano come il 33% dei celiaci adulti continui ad avere la mucosa intestinale rovinata nonostante l’eliminazione del glutine.
L’incredibile conferma ottenuta anche sui bambini dimostra «che dobbiamo intervenire in maniera più decisa per ottenere la guarigione della mucosa in tutti i pazienti, non solo negli adulti», afferma Maureen Leonard, che insieme a Fasano dirige il Centro per la celiachia del MassGeneral Hospital for Children. Qui, i pediatri hanno deciso di cambiare il loro approccio ai piccoli pazienti proprio alla luce di questi nuovi dati: d’ora in poi i bambini con più di 10 anni di età saranno monitorati non solo con gli esami del sangue, ma anche con l’esame endoscopico, che verrà ripetuto dopo un anno di dieta gluten-free.
«Finchè non avremo a disposizione esami non invasivi affidabili per verificare lo stato della mucosa intestinale nei bambini celiaci, la biopsia rimarrà cruciale, non solo per la diagnosi iniziale ma anche per il successivo monitoraggio», afferma Ivor Hill, gastroenterologo pediatrico della Ohio State University, che in un articolo di commento allo studio invita gli esperti di tutto il mondo a rivedere le loro strategie.
Usare gli esami del sangue per monitorare i pazienti, insomma, non è sempre sufficiente. Lo studio di Fasano dimostra addirittura che il test principale usato per monitorare la celiachia, quello degli autoanticorpi IgA anti-transglutaminasi (tTG), non permette di conoscere in maniera precisa la condizione della mucosa intestinale.
«Negli anni ’70 – spiega Fasano – i pediatri erano soliti eseguire tre endoscopie: la prima per diagnosticare la celiachia, la seconda per vedere la situazione dopo un anno di dieta gluten-free e la terza a distanza di altri sei mesi per verificare la reazione del paziente alla reintroduzione del glutine. Quando negli anni ’90 sono stati sviluppati test del sangue efficaci, siamo passati ad una sola endoscopia, che oggi addirittura non viene fatta in un certo sottogruppo di pazienti. Abbiamo dato per scontato che la dieta senza glutine avrebbe comportato la guarigione. Ora che abbiamo scoperto che questo ragionamento non vale per tutti i pazienti celiaci, stiamo cambiando la nostra pratica clinica ripetendo l’endoscopia dopo un anno di dieta».
I consigli degli esperti per ossa più forti
Le parole d’ordine sono diagnosi precoce, dieta e sport
La celiachia può indebolire le ossa aumentando il rischio di osteoporosi nel lungo periodo: colpa dei disturbi intestinali, che causano una diminuzione del peso corporeo e determinano il malassorbimento di calcio, vitamina D, proteine e altre sostanze nutritive preziose per la salute dello scheletro.
Studi scientifici dimostrano che l’incidenza di fratture nelle persone celiache è più alta rispetto alle persone non affette, con incrementi del 90% e di quasi l’80%, rispettivamente per le fratture del femore e del polso.
Il rischio può salire ulteriormente nei soggetti celiaci che presentano anche altre condizioni di rischio: sono ad esempio le donne in post-menopausa con deficit di estrogeni, gli intolleranti al lattosio che non assumono latte e latticini, i fumatori e i pazienti che soffrono di ipertiroidismo.
Per i celiaci non ci sono raccomandazioni specifiche sullo screening per la prevenzione della fragilità ossea, ma è consigliato discutere con il medico dell’opportunità di eseguire la misurazione della densità minerale ossea.
Per salvaguardare lo scheletro, è fondamentale che la celiachia venga diagnosticata precocemente, in modo da poter prendere tutte le contromisure necessarie per tempo. Ecco i consigli degli esperti della Fondazione FIRMO per la ricerca e la cura delle malattie ossee.
Segui una rigorosa dieta priva di glutine.
Porta in tavola alimenti ricchi di calcio: per gli adulti affetti da celiachia, è raccomandato un apporto giornaliero di almeno 1.000 milligrammi al giorno.
Mangia alimenti ricchi di vitamina D ed esponiti al sole per almeno 10 minuti al giorno per favorirne la produzione da parte del tuo organismo: se questo non è possibile, discuti con il tuo medico dell’opportunità di assumere degli integratori.
Fai regolarmente esercizio fisico, con carichi e rafforzamento muscolare: può aiutare a prevenire la perdita ossea e a migliorare l’equilibrio e la flessibilità, riducendo il rischio di caduta e di fratture.
Evita il fumo e l’assunzione eccessiva di alcol, mantenendo un peso corporeo adeguato.
Riduci il rischio di cadute: indossa scarpe antiscivolo, elimina ostacoli e difficoltà che possano provocare cadute in casa, installa un corrimano sulle scale e nei bagni, assicurati che i tappeti siano adeguatamente fissati.
(Autori: E. Buson)
(Fonte: OK Salute)