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La riforma delle dimissioni (contenuta nel d.lgs. n. 151/2015 e in vigore il prossimo 12 marzo) presenta molte criticità, destinate a complicare in maniera significativa un momento della vita aziendale e lavorativa che, sino ad oggi, poteva essere gestito in modo semplice (e senza che ci fossero abusi diffusi, nonostante un luogo comune molto in voga suggerisca una lettura contraria).
Con lo scopo apprezzabile di spiegare il funzionamento delle nuove regole, il Ministero del lavoro il 4 marzo scorso ha emanato la circolare n. 12; tale intervento rischia tuttavia di produrre un risultato opposto rispetto a quello voluto, aumentando la confusione e l’incertezza applicativa, in quanto contiene interpretazioni che non sembrano rispecchiare in maniera fedele il testo normativo.
Il primo punto della circolare che suscita delle perplessità riguarda l’applicabilità della nuova disciplina delle dimissioni al pubblico impiego.
Si legge nella nota ministeriale che la procedura di presentazione telematica delle dimissioni (e delle risoluzioni consensuali) non si applica ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni; questa inapplicabilità, secondo la circolare, discenderebbe dal fatto che nel lavoro pubblico il fenomeno delle c.d. dimissioni in bianco non risulta praticato.
Questa interpretazione si pone in contrasto con l’art. 26 del d.lgs. n. 151/2015, che non fa alcuna distinzione tra lavoro pubblico e impiego privato: in mancanza di indicazioni, anche indirette, della legge, la circolare finisce per cambiare il senso della disposizione normativa, pur non avendo alcun potere in tal senso.
Il criterio interpretativo proposto per giustificare tale lettura è, peraltro, particolarmente fragile, in quanto si fonda su un dato statistico (l’assenza delle dimissioni in bianco nella pubblica amministrazione) privo di qualsiasi riscontro (chi può dire se il fenomeno esiste davvero oppure no nella PA?), e suscettibile di cambiare nel tempo (che succede se il fenomeno prende piede nel lavoro pubblico? La legge inizia improvvisamente ad essere applicabile?).
La questione rischia di complicare ancora di più la vita della riforma, in quanto i lavoratori pubblici che si dimetteranno senza seguire la procedura telematica, come suggerisce la circolare, potrebbero un giorno invocare l’inefficacia delle dimissioni rassegnate in forma semplificata.
Analogo problema sembra porsi con le dimissioni rassegnate durante il periodo di prova. La circolare include questa ipotesi tra i casi per i quali la procedura telematica non si applica, nonostante la legge suggerisca una lettura contraria. Nell’art. 26 del d.lgs. n 151/2015 sono elencate espressamente, infatti, le ipotesi nelle quali la procedura non si applica (es. lavoro domestico, risoluzioni convalidate in sede protetta, dimissioni delle lavoratrici in gravidanza): in questo elenco mancano le dimissioni rassegnate durante il periodo di prova.
La circolare, infine, conferma uno dei tanti paradossi che comporterà la nuova procedura: il periodo di preavviso decorre dal giorno in cui le dimissioni sono presentate in via telematica, a nulla rilevando eventuali comunicazioni precedenti.
Il lavoratore che non ha il PIN Inps dovrà quindi attendere qualche giorno prima di poter far iniziare il periodo di preavviso, subendo – pur non avendone alcuna responsabilità – un allungamento del termine nel quale potrà uscire dall’azienda. Tale allungamento potrebbe essere anche molto significativo, se si pensa che in molti settori il preavviso decorre dal 1 o dal 15 di ogni mese: basterà che l’attesa del PIN faccia saltare una di queste scadenze, per rendere ancora più pesante l’eventuale slittamento.
(Fonte: Lavoro&Impresa)