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Il datore di lavoro (non fallito) e’ insolvente: l’inps paga il tfr


Ordine Informa

Spetta al Fondo di garanzia erogare il trattamento di fine rapporto (T.F.R.) direttamente al dipendente se l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa: a stabilirlo è la Corte di Cassazione con sentenza n. 15369 del 4 luglio 2014.
Analizziamo i fatti.
La Corte d’appello di Catania, riformando il giudizio di primo grado, accoglieva il ricorso proposto da un dipendente nei confronti dell’Inps, in qualità di gestore del Fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto, condannando l’Istituto a corrispondere al lavoratore la somma di euro 6.506,53 a titolo di T.F.R., non avendo il datore di lavoro a suo tempo ottemperato.
Lo stesso lavoratore aveva esperito, senza esito, una procedura di esecuzione forzata, oltre che presentare istanza per la dichiarazione di fallimento del datore di lavoro, la quale veniva respinta per “modesta entità del debito”.
Il Giudice d’appello riteneva il datore di lavoro assoggettabile a fallimento, ma non fallito, poiché il credito vantato era esiguo; pertanto, risultava applicabile al caso di specie, la procedura prevista dall’articolo 2, comma 5, della legge n. 297 del 1982, ossia il pagamento diretto del T.F.R. da parte dell’Inps, attingendo alle casse del Fondo di garanzia.
Secondo la suddetta norma e stando alle disposizioni del D.Lgs. 80/92 (artt.1 e 2), nei casi di insolvenza del datore di lavoro, il Fondo di garanzia istituito presso l’Inps, interviene a copertura del trattamento di fine rapporto e delle ultime tre mensilità.
Contro la sentenza della Corte d’appello, l’Inps proponeva ricorso in Cassazione, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 della legge n. 297 del 29 maggio 1982. Nello specifico, l’Inps considerava errata la previsione della Corte territoriale, la quale accoglieva “la domanda del lavoratore sulla base dell’esito infruttuoso di una procedura esecutiva, senza che ricorresse l’ulteriore requisito dell’accertamento e della declaratoria dello stato di insolvenza, con conseguente dichiarazione di fallimento”.
Il giudizio della Corte, a parere del ricorrente, si è erroneamente fondato sul presupposto che “l’imprenditore non dichiarato fallito per la esiguità del credito azionato doveva essere in concreto considerato non soggetto a fallimento”.
Diversamente, l’interpretazione della Cassazione, si sviluppa in linea con il giudizio della Corte territoriale.
Secondo la Suprema Corte, stando alle previsioni della legge n. 297 del 1982, spetta all’Inps, in ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro tra un dipendente e un datore di lavoro insolvente, ma non soggetto a fallimento, erogare direttamente al lavoratore il T.F.R. spettante, purché lo stesso lavoratore abbia preventivamente esperito, senza alcun esito, l’esecuzione forzata per la realizzazione del credito.
In più occasioni, la Cassazione, tenuto conto delle disposizioni impartite dalla direttiva CE n. 987 del 1980, si è orientata nel senso di considerare corretta la procedura che consente di attingere direttamente alle casse del Fondo per coprire la mancata corresponsione del T.F.R. ad un lavoratore, qualora si verifichino le ipotesi di cui sopra (cfr. Cassazione n. 7466 del 2007, Cassazione n. 1178 del 2009, Cassazione n. 7585 del 2001).
L’inciso “non soggetto a disposizioni del R.D. n. 267 del 1942” deve essere interpretato nel senso di considerare applicabili le previsioni della legge n. 297 del 1982, comma 5, articolo 2, nei casi in cui il datore di lavoro a causa di proprie condizioni soggettive o ragioni ostative di carattere oggettivo, non sia assoggettato al fallimento.
Orbene, l’interpretazione estensiva della legge che garantisce al lavoratore l’erogazione del T.F.R. anche in presenza di un non fallimento del datore di lavoro, è perfettamente coerente con i principi della direttiva comunitaria che concede al legislatore nazionale la facoltà di assicurare tutela ai lavoratori, anche in presenza di casi atipici di accertamento di un’insolvenza da parte del datore di lavoro.
In conclusione, se il datore di lavoro è assoggettabile al fallimento, ma in concreto non può essere dichiarato fallito a causa dell’esiguità del credito azionato o per l’assenza di requisiti soggettivi, il lavoratore può comunque ottenere le prestazioni del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps di cui alla legge del 1982, a patto che il lavoratore stesso abbia preventivamente intentato, con esito negativo, una procedura di esecuzione forzata.
Nel caso di specie, il Giudice territoriale ha correttamente interpretato la norma, poiché il lavoratore a suo tempo aveva intentato nei confronti della società, senza risultato, l’esecuzione forzata.
Fanno eccezione i casi in cui risultino in atto circostanze che dimostrino l’esistenza di altri beni aggredibili con la procedura di pignoramento.
(fonte: Diritto.it)

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