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Licenziamento disciplinare: obbligo di tempestività anche se il Sindaco è in combutta con il dipendente


Ordine Informa

L’azione disciplinare deve essere avviata non appena il datore di lavoro viene a conoscenza dei fatti addebitabili al lavoratore, senza attendere l’esito del giudizio penale eventualmente avviato per valutare la rilevanza penale di tali fatti.Con questo principio il tribunale di Como (sentenza n. 239/2016) ha deciso la controversia promossa da una lavoratrice licenziata da un Comune per aver commesso gravissime irregolarità nella gestione finanziaria e contabile.
Gli illeciti erano stati commessi nel periodo compreso tra il 2006 e il 2012, mentre la contestazione degli addebiti risaliva solo al 2014. Sulla base di questo grande lasso di tempo intercorso tra la commissione e la contestazione degli illeciti, il giudice ha considerato ormai consumato il termine per poter attivare la procedura.
Il Comune ha tentato di giustificare questo ritardo evidenziando che l’organo (in particolare, il Sindaco in carica all’epoca dei fatti) che avrebbe dovuto esercitare il controllo sulla lavoratrice e avrebbe dovuto attivare l’azione disciplinare era partecipe degli illeciti contestati alla dipendente, e quindi non aveva voluto procedere all’avvio tempestivo dell’azione per tutelare un proprio interesse specifico. In una situazione del genere, secondo il Comune, l’azione disciplinare non può materialmente essere esercitata (e quindi non decorre alcun termine di decadenza), in quanto il soggetto che formalmente detiene il potere di farlo persegue finalità esclusivamente proprie, e non agisce come organo dell’ente.
Il Tribunale giudica “affascinante e non peregrina” questa lettura, ma esclude che in concreto un organo istituzionale possa compiere atti di gestione per finalità completamente estranee a quelle dell’ente, soprattutto quando tali atti provengono da delibere di una giunta o di un’assemblea.
Non potendosi giustificare, quindi, il ritardo dell’azione con il fatto che il vecchio sindaco fosse complice con la lavoratrice, la Corte ritiene applicabile alla fattispecie il principio – consolidato in giurisprudenza – secondo il quale la tempestività del licenziamento disciplinare deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza del fatto, nelle sue linee essenziali, e della possibilità di ricondurlo al lavoratore, senza che il ritardo si possa giustificare con la necessità di attendere l’esito del giudizio penale eventualmente avviato per le stesse condotte.
La sentenza ribadisce, inoltre, due principi ormai consolidati in materia di pubblico impiego. Con rifermento alla procedura giudiziale applicabile ai licenziamenti, la sentenza afferma l’obbligo di seguire il c.d. rito Fornero anche per i recessi intimati nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato.
Con riferimento alla tutela sostanziale che può essere invocata dai dipendenti pubblici, il Tribunale aderisce all’orientamento formulato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 11868/2016, con la quale è stata riconosciuta l’inapplicabilità verso tali lavoratori delle modifiche apportate dalla legge Fornero alla versione originaria dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
(Fonte: Lavoro&Impresa)

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