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Sicurezza sul lavoro. Condotta colposa del lavoratore


Ordine Informa

Cassazione Civile, sentenza depositata il 29 maggio 2014
Non spetta alcun risarcimento danni ai parenti dell’operaio morto sul lavoro se l’azienda aveva impartito delle direttive per la sicurezza che la vittima non ha rispettato. È quanto emerge dalla sentenza 29 maggio 2014 n. 12046 della Corte di Cassazione – Terza Sezione Civile.
La vicenda. Ricorrono per cassazione i familiari di un operaio, deceduto perché travolto e schiacciato da un palo nel corso di un’operazione di scarico di materiali. La loro domanda di risarcimento danni è stata inizialmente accolta dal Tribunale, mentre la Corte d’appello di Brescia si è espressa in senso contrario, avendo ritenuto che l’unica responsabilità dell’incidente fosse addebitabile al lavoratore che aveva tenuto una condotta imprudente. Dalla ricostruzione della dinamica dell’incidente era infatti emersa la colpa della vittima, che non si era curata delle raccomandazioni degli altri colleghi e delle indicazioni che lo stesso datore aveva fornito per quelle specifiche operazioni.
Investita dell’esame della controversia, la Suprema Corte si è uniformata al verdetto del giudice di merito.
Osservazioni della S.C. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che è compito del datore garantire la sicurezza sul lavoro anche contro l’operato negligente degli stessi operai che tentino di sottrarsi all’osservanza delle misure di sicurezza pur predisposte dall’impresa. Di regola, dunque, il datore risponde della negligenza e imprudenza dei dipendenti anche quando, pur avendo predisposto le cautele necessarie, i medesimi si siano infortunati non avendole rispettate.
Tuttavia, in presenza di comportamenti particolarmente gravi del lavoratore, viene meno il potere–dovere di controllo dell’imprenditore sulla sicurezza nelle condizioni di lavoro, cioè “si interrompe il nesso causale tra la responsabilità del datore e l’evento lesivo verificatosi a carico del lavoratore, con esclusione del rapporto concausale, ed esenzione del datore di lavoro dalla gravosa prova liberatoria e di un giudizio di accertamento in concreto delle rispettive percentuali di responsabilità”. In questo caso, difatti, il comportamento del tutto fuori dagli schemi del lavoratore si considera unica causa efficiente del danno che lo stesso si è provocato.
Ebbene, di questi principi ha fatto corretta applicazione il giudice di merito il quale ha preso atto della totale disapplicazione delle regole da parte del dipendente. La vittima, infatti, rilevano dal Palazzaccio, “contrariamente alle direttive ricevute, presumibilmente per completare prima il lavoro, prelevava due pali da trasportare e scaricare e non uno, e si dotava di piastre d’appoggio di dimensioni inadeguate rispetto al carico che avrebbero dovuto sostenere e alla natura cedevole del terreno sul quale effettuare lo scarico, ometteva di assicurare i pali durante il percorso, ed eseguiva la manovra di scarico in totale spregio non delle sole regole di prudenza ma della stessa razionalità, esponendosi gratuitamente ad un inutile rischio e non tenendo ostentatamente e quasi provocatoriamente conto dei richiami alla prudenza e alle regole che venivano dai suoi stessi sottoposti, ovvero dagli operai che in quel momento coordinava”. Dalla sentenza emerge gravata l’implicita considerazione di questo comportamento non come semplice, ripetuta imprudenza, ma come una gratuita e ingiustificata assunzione di un rischio inutile.
Insomma, per gli Ermellini non si sono avverate le condizioni perché i familiari dell’operario potessero pretendere un risarcimento dall’azienda.
(fonte Fiscal Focus)

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