Notizie dall'Italia e dal Mondo
Dio salvi gli spaghetti al dente. L’ode al piatto simbolo dell’Italia (identificativo del Belpaese quasi quanto il tricolore) arriva da un team di esperti internazionali e si giustifica in due parole: indice glicemico. Parola del ‘Consorzio per la qualita’ dei carboidrati’. Tutto comincia a Stresa, giovedi’ scorso. Un comitato internazionale di ricercatori e clinici, fra i massimi esperti nel campo della nutrizione, si e’ riunito proprio in Italia, patria del carboidrato e della dieta mediterranea, per chiarire il ruolo strategico dell’indice glicemico nel definire la qualita’ dei carboidrati. Perche’ non sono tutti uguali, assicurano gli scienziati.
Il risultato del meeting, che si e’ svolto a porte chiuse ed e’ il primo summit mondiale di consenso su indice glicemico, carico glicemico e risposta glicemica – a organizzarlo due realta’ no profit, l’italiana Nfi (Nutrition Foundation of Italy e la Statunitense Oldways, con il patrocinio del ministero della Salute – e’ un documento di consenso in cui si forniscono risposte condivise su questo fronte. I contenuti sono stati presentati oggi a Milano e partono da un punto fermo, evidenziato dagli esperti: la qualita’ del carboidrato conta e l’indice glicemico permette di distinguere tra quelli che vengono assorbiti e digeriti lentamente, come la pasta cotta al dente appunto, e quelli che, assorbiti con rapidita’, alzano troppo velocemente glicemia e insulinemia. Allo stesso modo, spiegano ancora gli scienziati, non tutti gli zuccheri semplici sono da evitare (per esempio il fruttosio) e non tutti gli zuccheri complessi sono da privilegiare (per esempio il pane). In ogni caso: i carboidrati non sono da bandire dalla tavola. Con buona pace delle diete ‘a tutta proteina’ in voga in questi anni.
Nel documento si conferma che dalla ricerca scientifica emergono evidenze sulla correlazione tra diete a basso indice glicemico/carico glicemico e riduzione del rischio sia di diabete di tipo 2 sia di malattie coronariche, oltre a un miglior controllo della glicemia nei pazienti gia’ diabetici. Il comitato, nel quale spicca il nome del ‘papa” dell’indice glicemico David Jenkins, raccomanda l’inclusione di questo parametro e del carico glicemico nelle linee-guida dietetiche nazionali, cosi’ come nelle tabelle di composizione degli alimenti. E suggerisce di considerare l’opportunita’ di includere l’indicazione di ‘basso indice glicemico’ sulle confezioni degli alimenti. Un simbolo che esiste gia’ ed e’ al centro di una ‘case history’, quella dell’Australia, Paese apripista. Il sogno degli esperti sarebbe di vederlo in futuro anche nei supermercati italiani.
Si fa presto a dire carboidrato, dunque. “Per anni ci siamo occupati solo dei grassi – osserva Andrea Poli, direttore scientifico Nfi – ma bisogna tener conto anche dei carboidrati”. Conoscerne l’indice glicemico, assicurano gli esperti, puo’ indirizzare verso un’alimentazione a basso impatto sulla glicemia e tenere a bada i fattori che aumentano il rischio di diabete di tipo 2, di coronaropatia e sovrappeso. Lo conferma Jenkins, scienziato dell’universita’ di Toronto (Canada) che nel 1981 con alcuni colleghi ha sviluppato il concetto di indice glicemico: “L’indice glicemico e’ basato sulla qualita’, il carico glicemico tiene presente anche la quantita’. E’ importante conoscere questi parametri”.
E l’Italia, continua, “potrebbe diventare il motore per promuoverne l’utilizzo. Ci auguriamo che il concetto venga reso disponibile per la popolazione e la comunita’ medica, usato nell’educazione nutrizionale, incluso nelle linee guida nutrizionali dei Paesi e che venga dunque indicato nei prodotti che si trovano nei negozi”. L’indice glicemico, spiegano gli scienziati, completa le informazioni che caratterizzano gli alimenti contenenti carboidrati (come la valutazione del contenuto in fibra e in cereali integrali). Il documento di consenso, aggiunge Sara Baer-Sinnott punta anche a orientare “la ricerca futura in questo settore”. Il gruppo di scienziati (il Carbohydrate Quality Consortium), provenienti da 8 nazioni e tre continenti, continuera’ a lavorare per mettere insieme studi e informazioni scientifiche sull’indice glicemico.
“Il messaggio – ha spiegato in occasione del summit Jennie Brand-Miller del Boden Institute of obesity, nutrition, exercise and eating disorders – e’: mangiate i carboidrati ‘slow’ che vengono assorbiti lentamente, piuttosto che ridurre la quota di carboidrati nell’alimentazione. In questo modo vi sentirete piu’ sazi a lungo e la risposta glicemica sara’ meno pronunciata”. L’ambizione e’ di “coinvolgere anche le Autorita’ regolatorie competenti per i vari Paesi” per valorizzare questi strumenti per la scelta degli alimenti da consumare. L’indice glicemico e’ oggi incluso in molte linee-guida internazionali (tra cui quelle Oms, Fao, Uk, Australia) per la gestione del diabete. In generale “il documento – conclude Poli – permette anche di valutare con maggiore indulgenza l’uso alimentare dello zucchero, a dosi non eccessive e nel contesto di una dieta variata ed equilibrata. L’indice glicemico del saccarosio, infatti, e’ piu’ favorevole di quello di alcuni amidi”.
(fonte Adnkronos Salute)